Riportiamo l'intervento del presidente del Consiglio degli studenti Michielan all'inaugurazione dell'a.a. dell'Università di Padova. «Un conto è affermare che esistano delle differenze, un altro è nascondere che queste siano frutto di precise scelte politiche di destrutturazione del sistema universitario»
Studentesse e studenti, Magnifico Rettore, Autorità, Signore e Signori,
"Supponiamo che io sia uno studente esemplare. Uno di quelli che fa il pendolare tutti i giorni svegliandosi alle cinque del mattino per essere puntualmente in aula alle otto per la lezione, che prende appunti con meticolosità, che comincia a studiare il giorno stesso in cui iniziano i corsi per essere certo di non ritrovarsi preda della disorganizzazione e del panico più totale quando la sessione d’esami sarà alle porte. Ma ipotizziamo anche che io provenga da una famiglia numerosa, che uno stipendio in casa arrivi soltanto grazie a uno dei miei genitori e che ammonti intorno ai 900 euro. Immaginiamo che io studi e che svolga, nel frattempo, anche due o tre lavoretti, per pesare il meno possibile sul bilancio familiare. Nonostante tutte le difficoltà, studiare è ciò che desidero fare, e poco importa se per essere al passo con tutti i programmi devo farlo stando in piedi in un autobus super affollato o di notte. Ma arriva il momento in cui, per usufruire di eventuali agevolazioni, anche un 27 può diventare un problema se, calcolatrice alla mano, hai bisogno almeno di un 27,8 perché la tua media non subisca un calo potenzialmente pericoloso. Lo accetteresti, quel 27, ma sai di non poterlo fare perché, economicamente parlando, una scelta avventata potrebbe tradursi nell’impossibilità di concludere il tuo percorso di studi”.
Queste parole sono state scritte da una studentessa in una lettera recentemente pubblicata su “il Bo”, il giornale dell’Università di Padova. Parole forti, pur nella loro semplicità, che permettono di iniziare il mio discorso in occasione dell’inaugurazione del 793° anno accademico richiamando tutti noi alla realtà che gli studenti affrontano quotidianamente, e che si discosta fortemente dalla retorica dei soliti discorsi sul merito, sulla valutazione e sull’Università in generale.
L’apertura ufficiale dell’anno accademico è per noi tutti occasione di riflessione rispetto alla condizione del nostro Ateneo. Per me in particolare, che sono qui chiamato a rappresentarne la vita pulsante, gli studenti, significa soffermarmi e cercare di farvi soffermare sulla disperata denuncia che sottendono le semplici parole della mia compagna. Davvero vogliamo accettare che nelle nostre università tutto diventi competizione? Davvero possiamo tacere il fatto che un numero sul libretto possa mortificare gli anni di sacrifici e le ambizioni di un giovane studente? È questo lo spirito con cui salutiamo l’inizio dell’anno accademico dell’Università di Padova, la cui storia e la cui eredità sono un glorioso susseguirsi di battaglie in nome della libertà del sapere, del diritto al progresso sociale e dell’emancipazione individuale tramite la cultura?
Secondo i dati del MIUR aggiornati al 2014, negli ultimi dieci anni si stima un calo delle immatricolazioni di più di 78.000 studenti: un dato allarmante, aggravato dalla crisi economica, ma sintomo che in Italia un numero sempre maggiore di studenti non riesce più ad accedere alla formazione universitaria. Non sarei degna voce degli studenti dell’Università di Padova se non richiamassi noi tutti all’urgenza di cambiare la pericolosa direzione che la gestione dell’intero comparto della cultura e dell’istruzione sta seguendo nel nostro Paese.
Proprio il dibattito politico di questi giorni ce ne fornisce esempio: le parole del Presidente del Consiglio Matteo Renzi ancora una volta tornano sul tema della competizione tra le nostre università, accettando quasi come un fatto naturale l’esistenza di atenei di serie A e di serie B, e tentando di mascherare anni di politiche di tagli all’istruzione pubblica. Un conto, infatti, è affermare che esistano delle differenze, un altro è nascondere che queste siano frutto di precise scelte politiche di destrutturazione e di definanziamento del sistema universitario. Politiche che hanno messo in ginocchio interi atenei, non solo con il taglio dei fondi, ma anche e soprattutto con una retorica del merito che altro non fa se non decostruire il senso stesso di università pubblica, costringendo molti di loro ad aumentare le tasse, a tagliare i servizi per gli studenti, senza poter rispondere adeguatamente ai problemi posti dal turnover e costringendo alla precarietà moltissimi ricercatori.
Le classifiche di cui parla il Presidente Renzi sono quelle costruite sulla base della valutazione meramente quantitativa promossa dal decreto AVA. Ma come si può valutare la qualità di un corso o di un ateneo intero attraverso parametri che paiono più degli strumenti di modellamento e livellamento della realtà, orientati alla legittimazione del definanziamento della formazione e della sua sola caratterizzazione in termini di efficacia e di efficienza? Non si può continuare nel processo di omogeneizzazione delle università senza considerare le specificità di ognuna, perseguendo una “traduzione neoliberale del darwinismo sociale”: in tal modo si continuano a premiare gli atenei più ricchi con ulteriori emolumenti mentre si lasciano morire tutti gli altri.
Proprio il decreto AVA negli ultimi anni ha nascosto nel promettente termine di “valutazione” un’esasperazione della distribuzione dei fondi, con risvolti pratici che sarebbero parsi insospettabili appena due anni fa. Infatti, la politica dei finanziamenti ai vari atenei ha di fatto legittimato scelte restrittive all’accesso ai corsi, per limitare il numero di studenti fuori corso e allinearsi ai discutibili parametri dell’ANVUR. Il risultato è quanto di più lontano ci possa essere da un’obiettiva valutazione del valore e della qualità dei nostri corsi di studio, che spesso sono stati costretti a limitare l’accesso agli studenti per non incorrere in valutazioni negative che avrebbero determinato la chiusura dei corsi stessi. La scellerata idea che il numero chiuso costituisca la panacea per corsi con bassa valutazione trae origine dal capovolgimento di quelli che dovrebbero essere i reali intenti a guida della politica in materia di istruzione, tra tutti il diritto all’accesso al sapere, e dalla necessità di mascherare l’incapacità di rispondere alle reali esigenze del nostro sistema educativo. L’Ateneo di Padova deve porsi immediatamente in netto contrasto con queste idee, prima che la qualità della didattica e il diritto al sapere vengano sacrificati per permettere ai Dipartimenti di allinearsi allo status economicamente più conveniente.
La politica dei finanziamenti alle università, che ad oggi utilizza come metro di valutazione il cosiddetto “costo standard per studente”, va contrastata totalmente, investendo sulla didattica e sulla qualità e ripensando la valutazione come strumento a disposizione degli atenei e del MIUR per migliorare e crescere insieme, senza lasciare indietro nessuno e senza creare disuguaglianze che mirano solo ad alimentare una lotta tra poveri per la sopravvivenza di pochi. Davanti a questo scenario diventa necessario, aggiungo, decostruire la retorica degli ultimi anni contro gli studenti fuori corso, che ha permesso alle università non solo di saccheggiare le loro tasche con aumenti vertiginosi della tassazione, ma anche e soprattutto di portare avanti una battaglia fondata sulla malata idea del merito e della velocità della laurea. Non siamo in un diplomificio, dietro i nostri numeri di matricola ci sono delle persone e delle storie che non possono essere ignorate gettandole nel calderone delle qualifiche generaliste di fannulloni e bamboccioni parcheggiati in ateneo. Permettere che le politiche di valutazione ignorino completamente questa componente dell’università significa legittimare ulteriori aumenti della tassazione e azioni per disincentivare gli studenti fuori corso a proseguire nel loro percorso formativo, escludendo così altre giovani menti.
Le affermazioni del Presidente del Consiglio al Politecnico di Torino non sono dunque che l’ultimo avvilente tassello del ben pianificato smantellamento del sistema dell’educazione e del diritto allo studio in Italia: un altro dei preziosi insegnamenti che i nostri padri costituenti ci hanno affidato, e che con leggerezza disarmante da parte delle classe politica da un lato, e greve silenzio della maggior parte dell’opinione pubblica dall’altro, stiamo cancellando dalla nostra vita civile. Constatiamo con rammarico infatti che si vuole far passare l’idea che, per avere una buona università, sia sufficiente sanzionarne le componenti che per qualsiasi ragione non ottengono risultati sufficienti in un tempo determinato. Avremo così un’università sicuramente più economica, ma, personalmente, preferirei avere un’università eccellente.
L’eccellenza,
però, non nasce per caso ma va curata. E ce lo insegna l’Orto botanico di
Padova, appena rinnovato, vanto del nostro Ate- neo. Al suo interno, vi è una
serra con una palma al centro: è la pianta più antica del giardino. Non sono un
botanico, ma sono abbastanza sicuro che se un ignoto giardiniere nel 1585 non
avesse piantato quel seme portato da lontano, se la serra ben progettata non
avesse difeso la palma dal clima padano, Goethe non ne avrebbe potuto scrivere
parole di stupore e oggi il nostro Orto sarebbe più povero. Lo stesso vale per
l’università: non possiamo pensare di costruire l’eccellenza senza seminare e
senza dar vita a serre in cui la nostra ricerca possa crescere. E quale bravo
botanico darebbe più acqua alle piante sane e la toglierebbe a quelle
sofferenti? Difficilmente un orto sopravvivrebbe se gli applicassimo la
politica della meritocrazia come la si vorrebbe intendere in questo Paese.
Ma quali semi stiamo piantando se il numero delle posizioni di dottorato in tutta
Italia da anni si riduce? Quali semi sta piantando l’università italiana se,
statistiche alla mano, solo il 3% dei ricercatori non strutturati avrà la
possibilità di passare a tempo indeterminato? Da troppi anni un serio piano di
assunzioni viene rimandato per dare la precedenza a tagli indiscriminati:
migliaia di precari espulsi dall’università a causa del dispositivo
introdotto dalla riforma Gelmini. È così che stiamo sostenendo la ricerca
italiana?
È
necessario sottolineare un altro punto fondamentale: difficilmente, da
studente, potrei giudicare in modo positivo i costanti tagli al Fondo di
Finanziamento Ordinario, l’ormai consolidata abitudine di disprezzare
l’importanza della pubblica istruzione e della sua difesa, la totale assenza di
investimenti nel sostegno agli studenti privi di mezzi, nascosta dalla logora
retorica per cui il valore e il diritto di un individuo possano ridursi a
qualche numero e a un bollettino da pagare; bollettino che, tra l’altro,
secondo l’ultimo rapporto di Federconsumatori, a Padova è il terzo più alto
d’Italia per le fasce meno abbienti.
Spero tuttavia che il mio sdegno non sia ricondotto semplicemente alla volontà
di perorare la causa della mia categoria: piuttosto, credo fermamente che il
percorso di ricostruzione del nostro sistema culturale ed educativo, anello
indispensabile per la ricostruzione della nostra intera società dopo anni di
impoverimento economico e morale, debba raccogliere la preoccupazione e
l’impegno di tutti, non in quanto studenti, docenti, amministratori o genitori,
ma in quanto cittadini. La volontà e la speranza di dare nuova vita al mondo
dell’università e della cultura richiede uno sforzo comune, e soprattutto
richiede la comune presa di coscienza che senza un netto cambio di rotta gli
studenti, ma con loro tutto il sistema accademico e con esso il Paese intero,
andranno incontro all’ulteriore aggravio di una condizione già difficilmente
sostenibile.
È una situazione che denunciamo annualmente con sempre rinnovato fervore da questa Aula Magna, che cerchiamo di migliorare e di arginare, senza trovare giusto riscontro da chi davvero ha la possibilità di cambiarla. Lo scorso anno abbiamo rivolto il nostro appello al Ministro della Pubblica Istruzione, che lo ha lasciato cadere nel vuoto. Quest’anno ho la possibilità di rivolgermi al Direttore Generale per l’Educazione e la Cultura della Commissione Europea, e voglio farlo partendo dall’ammirevole obiettivo che il nostro Paese, insieme a tutti quelli appartenenti all’Unione Europea, si è posto, cioè quello di un’Europa della Conoscenza, costruita sull’istruzione come valore fondamentale e strumento necessario dal quale ripartire per progettare un futuro di stabilità e innovazione. Dobbiamo però evidenziare la totale mancanza di questo spazio di coesione politica e sociale, soprattutto in un clima di gravi squilibri, in cui la cultura potrebbe diventare strumento di supporto alla cooperazione tra i diversi Paesi.
A 15 anni dal processo di Bologna, infatti, la cultura è prigioniera delle maglie dei processi economici, ed è costretta a subire le politiche di austerità imposte dalla Banca Centrale Europea. Il caso dell’Università di Atene, costretta a chiudere lo scorso anno a causa dei tagli, è l’emblema di una visione che non persegue la stra- da dell’istruzione pubblica, gratuita e di qualità, ma di una politica che vede nel sapere uno spreco da tagliare. Quale futuro e quale progetto abbiamo in mente, se queste sono le premesse? Europa 2020 pone per l’Italia, tra gli altri, l’obiettivo di aumentare il tasso di occupazione oltre il 65%. È posto quindi l’accento sulla necessità di ricostruirsi attraverso l’innovazione e la progettazione di un futuro di stabilità e crescita. Questo obiettivo lo si può raggiungere non solo cambiando la rotta di un mercato del lavoro sempre più instabile, precario e vittima di modelli macroeconomici che privilegiano la flessibilità, la delocalizzazione e la deregolamentazione, ma anche e soprattutto attraverso un confronto diretto tra università e mondo dell’impresa, per ridare valore alle competenze acquisite dai nostri giovani laureati.
Il tasso di disoccupazione giovanile al 44% è per noi tutti un monito ad intraprendere un percorso in controtendenza rispetto agli ultimi provvedimenti: l’austerità che ha caratterizzato le politiche dei Paesi europei in questi anni non è la soluzione e la deregolamentazione del mercato del lavoro ha rappresentato e continua a rappresentare il tentativo di contrapporre garantiti e non garantiti, in un’eterna lotta volta ad eliminare diritti conquistati dopo anni di lotta e di movimenti di emancipazione collettiva. Non possiamo accettare che si continuino ad imporre a nostro nome politiche di precarizzazione del lavoro e di distruzione di ogni forma di welfare state, nonostante pochi e irrisori interventi-spot. La precarietà, non solo lavorativa, ma esistenziale a cui sono costrette intere generazioni frena la nostra capacità di crescita, da ogni punto di vista. È l’università il punto nevralgico da cui ripartire.
Proviamo, dunque, a fermarci per riflettere sul percorso che vogliamo intraprendere in questo nuovo anno, caratterizzato da un evento fondamentale per il nostro Ateneo quale il rinnovo del Rettorato. Ci aspettiamo un nuovo corso, una maggiore attenzione per la componente studentesca e un continuo confronto sulle diverse tematiche, in particolare diritto allo studio, libero accesso e qualità della didattica. Molte difficoltà sono purtroppo state causate dal necessario processo di transizione dovuto alla legge Gelmini, ma non è più il momento di temporeggiare e congratularsi dello status quo. È il momento di fare scelte coraggiose e condivise in maniera collettiva.
Concludendo, l’augurio più grande che mi sento di fare è innanzitutto a noi studenti, affinché siamo in grado di riappropriarci delle nostre capacità per la costruzione di una reale società della conoscenza, in cui saper ascoltare le necessità di ognuno e in cui collaborare per un sapere libero e inclusivo. L’augurio che invece faccio a tutti noi, come componenti dell’Ateneo padovano, è di ripartire dalla no- stra centenaria storia, che ha forgiato il nostro nobile motto: Universa Universis Patavina Libertas. Deve essere questo il punto di partenza: rendiamola viva e pulsante, questa libertà, respiriamola, facciamola nostra.
[Testo integrale dell'intervento del Presidente del Consiglio degli studenti, Riccardo Michielan, all'inaugurazione dell'anno accademico dell'Università di Padova, 27 febbraio 2015]