Lo storico e saggista toscano, a Catania per presentare il suo ultimo volume "Identità. L'altra faccia della storia", ripercorre con Zammù TV i tratti salienti di alcune delle sue importanti opere
"Identità. L'altra faccia della storia" è il titolo dell’ultimo volume di Adriano Prosperi, professore emerito di Storia moderna alla Scuola Normale di Pisa e Accademico dei Lincei, che venerdì 20 ottobre è stato presentato alle Biblioteche Riunite Civica e Ursino Recupero di Catania, su invito dell'"Osservatorio Euromediterraneo" e del "Collegio di Filosofia".
Lo storico toscano, allievo di Armando Saitta e Delio Cantimori, intervistato da Benedetta Intelisano di Radio Zammù, ha accettato di ripercorrere i tratti salienti di alcune sue importanti opere: da "Giochi di pazienza. Un seminario sul «Beneficio di Cristo»", un saggio scritto con Carlo Ginzburg su un testo di teologia tra i più popolari ed influenti pubblicati nel XVI secolo in Europa, che l’autore Benedetto Fontanini scrisse nell'antico Monastero etneo di San Nicolò L'Arena; passando per "Tribunali della coscienza", opera che nel 1996 aprì un dibattito aspro e appassionato, sull'opera svolta dalla Chiesa della Controriforma, nella prima età moderna, fino al recente “Lutero. Gli anni della fede e della libertà”.
«Quel dibattito è ancora vivo, per certi versi - spiega Prosperi a Zammù TV -, probabilmente il mio libro toccò allora parecchi nervi scoperti. C’era un dissidio di fondo che riguardava la valutazione dell’opera svolta dalla Chiesa. Con la sua Riforma, Lutero scoprì e valorizzò la libertà del cristiano, come libertà interiore e di coscienza. A mio avviso, invece la Chiesa, per contrastare questa scoperta, si mobilitò fino ad imporre un dominio delle coscienze, che ebbe anche aspetti accattivanti e gradevoli tipo le missioni popolari o l'assistenza offerta a categorie meritevoli e bisognose, ma che ebbe come prezzo la rinuncia alla libertà. Ritengo che questa azione fu una sconfitta per la Chiesa, perché diede vita a guerre di religione e lacerazioni profonde che a stento si vanno ricomponendo».
«Oggi – osserva – la situazione è radicalmente cambiata. La storia dei secoli successivi ha liberato la società umana da ogni possibilità di affidarsi a una specie di vice-Dio in terra, come era considerato prima il Papa, e lo stesso pontificato romano ha modificato i suoi caratteri, in una maniera che secoli fa - ancora fino all'Ottocento, quando si fissava il dogma dell’infallibilità papale - non sarebbe stata comprensibile. A distanza di secoli, la libertà del cristiano è riconosciuta anche dalle chiese, che possono ancora contare sulla fede dei cristiani nella misura in cui li considerano esseri adulti che rischiano con la propria coscienza e con le scelte che fanno».
Ma com’è nato il suo interesse di studio prettamente orientato verso l'Inquisizione romana e i movimenti ereticali nell'Italia nel periodo a cavallo tra Medioevo ed età moderna? “La mia generazione ha visto da vicino l’Italia a pezzi dell’immediato dopoguerra, vivendo la faticosa ricostruzione di un quadro istituzionale dopo l’occupazione nazi-fascista. Rivolgersi alla storia non è stato pertanto la ricerca di un mestiere, ma l’intenzione di capire cosa ci aveva portato fin lì, come potevamo uscirne. Eravamo convinti che non si potesse progettare il futuro del Paese senza una seria disamina del passato, e in quel momento storico, l’unica autorità vigente e l’unico spazio pubblico ancora in piedi era rimasto quello della Chiesa. Raccogliendo l’insegnamento di maestri che ci forgiavano come nelle botteghe artigiane, fu allora naturale per noi giovani studiosi, cercare di capire cos'era stata la religione italiana, sviscerando in particolare la crisi del '500».
Infine, Prosperi parla del suo ultimo saggio, definendolo un volume “preterintenzionale”, che indaga sull’evoluzione del modo di rispondere a una domanda sostanziale: "Chi sono io?”. «È una ricerca sull'idea di persona – precisa -, così come viene descritta, ricostruita, intuita, dagli storici e dai sociologi, che ci porta a renderci conto anche di una significativa modifica del vocabolario in uso nella società. Tutto ciò che prima era stato definito come civiltà o cultura, adesso viene definito come identità».
Di per sé, il termine mostrava anche un aspetto rassicurante, perché consentiva un’attrazione verso qualcosa di fisso, di sicuro a cui agganciarsi o appartenere in epoche di incertezze e confusione. «Ma questa attrazione, talvolta si è rivelata fatale, rivelando aspetti loschi e preoccupanti». Fabbricare identità serve soprattutto a questo, ad alzare una barriera di tradizioni e religioni che protegga "noi" dagli "altri", escludendo chi non appartiene alla nostra identità. «E tutto ciò che serve a distinguere e a prendere coscienza di una separazione – sostiene Prosperi -, contiene un potenziale violento pronto a giustificare aggressioni civili e guerre».
Esempio cupo ed emblematico è certamente stato, per Prosperi, il modo in cui il Terzo Reich è riuscito a costruire una sistematica campagna, sostenendo l’identità del popolo tedesco era un patrimonio storico da conservare e imporre, dal quale patrimonio erano però escluse le "specie inferiori", considerate addirittura nemmeno appartenenti al genere umano. «In nome di questo principio – afferma lo studioso - dal 1936 al 1945 in poi l’eliminazione nei confronti degli ebrei è avvenuta sistematicamente sotto gli occhi di un intero popolo che è stato portato a considerare tutto questo ovvio, quasi doveroso, cooperando – con rarissime eccezioni – a questa azione criminale, perché la scomparsa della razza giudaica non poteva che fare bene alla salvezza dell'identità tedesca».
«Niente, perciò – afferma ancora Prosperi, nel suo libro - può impedirci di avvertire dietro questa parola, apparentemente così semplice e innocua, l’eco sorda della risacca della storia e dei rapporti di forza che ha ripreso a fare intensamente il suo antico lavoro: scaraventa sulle rive più diverse popoli e individui, quando non li cancella inabissandoli nel fondo del mare». E fa senza dubbio riflettere che i contemporanei movimenti politici che si affermano in vari Paesi europei, non gradiscono di essere marchiati come “neonazisti”, ma preferiscono definirsi “identitari”: «Mi sembra ci siano elementi più che sufficienti – conclude – per voler cancellare la parola identità dal nostro vocabolario.