Gli interventi della seconda giornata del "Cortile dei Gentili": in video monsignor Gianfranco Ravasi, padre Dionisio Candido e il professore Pierluigi Leone De Castris
"La luce tra scienza e fede" è stato il tema delle conversazioni della tappa catanese del "Cortile dei Gentili", l'iniziativa del Pontificio Consiglio della Cultura che l'Università di Catania ha organizzato venerdì 18 e sabato 19 marzo 2016. Il cardinale Gianfranco Ravasi è stato uno dei protagonisti del "dialogo tra credenti e non credenti" della seconda giornata, incentrata sul tema "Dove abita la luce? (Gb 38,19) - Spunti dalla Sacra Scrittura".
Biblista, teologo ed ebraista, monsignor Ravasi dal 2007 è presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra e del Consiglio di Coordinamento fra Accademie Pontificie. Durante il suo intervento ha sottolineato la «presenza costante della luce nelle Sacre Scritture ebraico-cristiane» e come la «luce irradi le Scritture le cui parole antiche contengono in sé una forza e una potenza tale da attraversare tanti secoli fino ad arrivare a noi».
All'incontro - introdotto da monsignor Salvatore Gristina e moderato dal direttore del dipartimento di Scienze umanistiche Giancarlo Magnano San Lio - sono intervenuti anche Dionisio Candido (Studio teologico San Paolo di Catania) e Pierluigi Leone De Castris (professore ordinario di Storia dell'arte moderna all'Università Suor Orsola Benincasa di Napoli).
Presbitero di Siracusa, Candido ha conseguito il dottorato in Scienze Bibliche al Pontificio Istituto Biblico di Roma. Oggi insegna Esegesi dell'Antico Testamento all'Istituto Superiore di Scienze Religiose di Siracusa e allo Studio Teologico di Catania. Nel corso del suo intervento ha evidenziato l’importanza della “luce” nella Bibbia sottolineando «il ruolo di protagonista sia nella prima, sia nell’ultima pagina del testo ovvero nel primo e nell’ultimo giorno della storia dell’Umanità».
«La Bibbia realizzata da Pietro Cavallini, custodita a Catania, è uno dei capolavori assoluti della miniatura italiana del Trecento - spiega lo storico dell'arte Pierluigi Leone De Castris, docente all'Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, uno dei maggiori studiosi dell'opera del maestro romano -. Il codice è stato realizzato probabilmente tra il 1310 e il 1320, in parte dallo stesso Cavallini, in parte da amanuensi della sua scuola. Dell'autore, il maggiore artista romano del tardo Medioevo, purtroppo, non restano che poche tracce biografiche, nonostante abbiamo ancora oggi molti dipinti nelle chiese della Capitale e altre opere di pregio realizzate per conto del re angioino. Ma sappiamo per certo che, in quell'epoca, i miniatori erano considerati, anche da personaggi come Dante e Petrarca, artisti del tutto paragonabili a pittori come Giotto e Cimabue. Il loro 'dono' era quello di riuscire a far 'ridere le carte': illuminarle, cioè rendendo ancor più comprensibili i testi».