Protagonista assoluto della penultima sessione del "Cortile dei Gentili: dialogo tra credenti e non credenti", il medico volontario di Emergency è stato il primo italiano ad avere contratto il virus ebola mentre prestava servizio in Sierra Leone: «I diritti devono essere di tutti, altrimenti sono privilegi»
È una storia che merita di essere raccontata quella di Fabrizio Pulvirenti, protagonista della penultima sessione del "Cortile dei Gentili: dialogo tra credenti e non credenti". L'Università di Catania ha voluto rendergli omaggio affidandogli, sabato sera al Monastero dei Benedettini, la parte conclusiva della fitta serie di dialoghi sul tema della luce.
Pulvirenti è il primo italiano ad avere contratto il virus ebola, mentre prestava servizio medico volontario in un centro di Emergency in Sierra Leone. Nato a Catania nel 1964, ha conseguito nella nostra università una laurea con lode in Medicina e successivamente la specializzazione in Malattie infettive. Ha lavorato come ufficiale medico della Marina italiana, poi in provincia di Lecce e infine all’Ospedale Umberto I di Enna, nuovamente in Sicilia.
Pulvirenti ha affiancato alla normale attività professionale quella da volontario, collaborando soprattutto con Emergency. Per l'organizzazione non governativa ha lavorato in Kurdistan, poi nell’ottobre del 2014 è partito per la Sierra Leone. Un mese dopo Emergency annunciò che, mentre si trovava a Lakka, Pulvirenti era risultato positivo al virus ebola. Il giorno seguente fu disposto il suo trasferimento d'emergenza in Italia. Ricoverato all’Istituto Nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma, dopo diversi trattamenti anche sperimentali, Fabrizio riuscì a sconfiggere il terribile virus e fu dimesso nel gennaio 2015.
La sua testimonianza ha impressionato tutti per la semplicità, la chiarezza e la forza dei suoi argomenti. «Non mi sento né eroe, né martire. Essere posizionati su un piedistallo, diventare un simbolo, un personaggio pubblico è una grande responsabilità; ma anche una limitazione della propria libertà». Perciò non parla solo di se stesso, bensì della lezione che si può trarre dalla recente epidemia di ebola che ha causato la morte di circa novemila persone nell’Africa occidentale. «Si pensava di far fronte all'epidemia con la vecchia logica del cordone sanitario. Era impossibile, era sbagliato. Occorreva favorire anche lì cure intensive. L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha cominciato a rendersi conto di quanto stava accadendo solo quando sono stati contagiati alcuni operatori sanitari americani e spagnoli, fino a quel momento non era intervenuta. Mi auguro che la comunità scientifica internazionale abbia imparato a non sottovalutare i segnali d'allarme».
Intervistato dalla giornalista Rai Alessandra Mancuso, Fabrizio Pulvirenti ha voluto spostare la propria testimonianza dalla vicenda personale al grande tema delle disuguaglianze del mondo di oggi: «Quando sono stato preso in cura allo Spallanzani, lavoravano su di me ben quaranta medici e operatori sanitari; mentre in Sierra Leone c'è appena un medico per quaranta malati». E ha aggiunto amaramente: «I diritti devono essere di tutti, altrimenti sono privilegi».
Adesso Pulvirenti si augura di riuscire a tornare quanto prima al proprio lavoro di volontario in Africa «perché - ha detto - il desiderio dell'Africa non si può spiegare». O forse perché, come recita la prima lettera di Giovanni del Nuovo Testamento, "Chi ama il suo fratello, dimora nella luce".