Lezione di Ernesto De Cristofaro, ricercatore di Storia del Diritto medievale e moderno (Giurisprudenza, Unict) nell'ambito del laboratorio d'ateneo "Mafia e antimafia: storia, legislazione e attualità"
Ernesto De Cristofaro, ricercatore di Storia del Diritto medievale e moderno al dipartimento di Giurisprudenza dell'Università di Catania fa un excursus (1861-1982) dell'evoluzione storica delle fattispecie legislative in tema di mafia e antimafia.
L'incontro si è svolto ieri pomeriggio nell'auditorium "Giancarlo De Carlo" del Monastero dei Benedettini, in occasione del laboratorio d'ateneo "Mafia e antimafia: storia, legislazione e attualità", organizzato dai docenti Simona Laudani e Alessandro De Filippo nell'ambito della più ampia iniziativa intitolata alla memoria di Giambattista Scidà "Territorio, ambiente e mafie".
«Nella sua attività di contrasto della mafia - spiega De Cristofaro -, lo Stato italiano si è avvalso di strumenti che sono mutati nel tempo e si sono evoluti parallelamente al livello delle conoscenze progressivamente acquisite su questi sodalizi criminosi, sulle loro strutture, strategie e mentalità».
Per molto tempo, i mafiosi sono stati perseguiti sulla base di disposizioni che, dovendo colpire le comuni associazioni a delinquere, hanno mostrato una scarsa capacità a reprimere organizzazioni in grado di intervenire sugli ordinari meccanismi investigativi e giudiziari di accertamento della verità: corrompendo, intimidendo, uccidendo. A partire dagli anni Ottanta del Novecento, si è introdotto lo specifico delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso.
Esso si è reso necessario in vista dell'obiettivo di colpire il "metodo" di azione della mafia, concependola come associazione dotata di radicata presenza sul territorio e capacità di accumulazione di profitti e influenze. L'uso dei collaboratori di giustizia ha permesso, inoltre, di guardare la mafia dall'interno, nella sua geometrica e capillare distribuzione di ruoli e decisioni.
Infine, negli ultimi anni, una stretta rigoristica si è imposta sulla regolazione della detenzione carceraria per evitare il contatto tra i reclusi e l'esterno e far sì che la prigione funzionasse efficacemente per i mafiosi come per ogni altro tipo di detenuto.