Lo spettacolo dell'Opera dei Pupi è in programma lunedì 30 maggio (ore 18:30) al Museo della Fabbrica dei Benedettini, nell'ambito del convegno nazionale della "Italian Association of Shakesperean and Early Modern Studies" organizzato dal dipartimento di Scienze umanistiche
“Le magnifiche sorti e progressive”: con questa formula Giacomo Leopardi ne "La ginestra" bollava di acre sarcasmo le concezioni della storia ottimisticamente provvidenziali condivise dagli spiritualisti romantici cattivi scolaretti di Hegel. E negli stessi anni liceali in cui mi appassionavo alla poesia del grande Recanatese, la mia fanciullesca e stupefatta passione per l’Opera dei Pupi diventava, da emotiva e sentimentale, meditata e razionale: perché scoprivo che le storie raccontate dai pupi e immaginate nel tempo mitico dei paladini di Carlo Magno non proponevano ideali consolatori, ma riflettevano sulla tragicità dell’esistenza umana, con la netta e lucida consapevolezza che il Bene deve sì lottare contro il Male, ma non è detto che quest’ultimo non vinca e trionfi.
Negli stessi anni mi appassionavo a Shakespeare, altro grandissimo interprete della sapienza tragica dell’orizzonte europeo, e letteralmente lo divoravo. Avvenne così l’incontro con "Riccardo III", il gobbo duca di Gloucester, tremendo ma titanico e affascinante villain le cui azioni e i cui efferati delitti non potevano non richiamarmi alla memoria Gano di Magonza, il "traditore massimo" dell’Opera dei Pupi. Antonio Pasqualino, il più grande studioso dell’Opra, mio maestro di studi, aveva già compreso quante affinità avessero con le storie e i codici di rappresentazione dei pupi siciliani le vicende, i delitti, le scene e il personaggio di "Riccardo III": infatti, alla fine degli anni Sessanta, insieme al regista Accursio Di Leo, aveva realizzato un allestimento della tragedia per pupi palermitani. Noi pupari di tradizione catanese non vedevamo l’ora di cimentarci col perfido gobbo, che già da parecchio tempo stuzzicava la nostra immaginazione: e quindi abbiamo colto al volo l’invito che nel 2012 l’amico regista Elio Gimbo ci ha rivolto per il suo secondo Shakespeare con attori e pupi al Castello di Aci.
"Riccardo III" nei cinque atti della tragedia dispiega la stessa perfidia e lo stesso spessore psicologico e drammatico che Gano di Magonza all’Opera dei Pupi svolgeva, sviluppava e reiterava nelle numerose puntate del ciclo. Personaggio tipico, ma complesso per la resa di tutte le sue sfumature, Riccardo III impegna chi lo interpreta in un lavoro difficile, che in questo spettacolo si sdoppierà, coinvolgendo in egual misura ‘u parraturi che gli darà voce e ‘u manianti che gli darà vita e movimento. "Riccardo III", come Gano di Magonza, smania per impadronirsi del trono e, per ottenerlo, non ha ritegno alcuno ad accumulare delitti su delitti, per i quali si serve con sadica gioia di assassini e sicari, né esita a circuire e sposare la vedova di un suo nemico (lui con Lady Anna, vedova del giovane principe Edoardo; Gano con Berta, vedova di Milone, padre di Orlando).
Il gioco di certe scene del dramma è omologo a scene famose dell’Opira catanese: nel corteggiamento di lady Anna sembra di rivedere Beltramo che concupisce Galiacella nel giardino della città di Risa. Infine, la parte finale del dramma, con la sua sequenza tripartita di campo dei buoni (Richmond), campo dei cattivi (Riccardo III) e battaglia finale, riproduce fedelmente la sequenza di scene di moltissimi terzi atti finali di serate dell’Opera dei Pupi. E la conclusione del dramma, con la gran parlata di Richmond vittorioso, conferma ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, la sostanziale affinità della tragedia con un’altra fondamentale cifra ideologica dell’Opera dei Pupi: l’aspirazione a un ordine del mondo più giusto.
Per tutte queste ragioni, i pupi della Marionettistica dei fratelli Napoli invitano questo gentile e rispettabile pubblico ad assistere alla Tragedia di Riccardo III.