Seminario del prof. Maurizio Viroli alla ricerca degli aspetti profetici nell'opera del Segretario fiorentino, nell'ambito delle giornate di studi su "Machiavelli: potere e libertà"
Ci sono stati nella storia italiana diversi tempi profetici . Uno di questi va dal 1494, ossia dalla discesa di Carlo VIII di Valois nella Penisola con il suo esercito, al 1530, data che coincide con la fine della terza Repubblica fiorentina. In questo periodo, c'era chi predicava nelle chiese e nelle piazze, denunciando, con linguaggio anche duro, la corruzione morale e politica e indicando la strada per una possibile redenzione e rigenerazione. Savonarola, per esempio: ma non era il solo.
E i profeti – critici severi del loro tempo – con la loro aura di ispirazione divina, erano ascoltati, perché la gente aveva voglia di tempo nuovo, non semplicemente di previsioni sul futuro. In questo preciso periodo vive e opera Nicolò Machiavelli, nato nel 1469 e morto nel 1527.
Machiavelli fu estraneo al tempo profetico in cui visse? Lo rifiutò, oppure lo condivise in qualche modo e pose la profezia, reinterpretandola, al centro della sua ricerca o delle sue opere? Sono queste le domande che si è posto il professor Maurizio Viroli, Emeritus di Teoria politica alla Princeton University e docente nelle università di Austin e Lugano, intervenendo alle giornate di studio sul tema "Machiavelli: potere e libertà", organizzate dalla Scuola Superiore di Catania e dal dipartimento di Scienze umanistiche, dell'Ateneo nell'ambito del Progetto di ricerca Fir "Le relazioni pericolose. Libertine, libertini e libertà", che si sono svolte a Catania dal 15 al 17 maggio 2017.
Studioso di filosofia della politica e di storia del pensiero politico, editorialista per numerosi quotidiani italiani, Viroli si è messo, come un segugio, a caccia delle tracce che potrebbero rivelare l’esistenza di “un continente che nessuno ha ancora visto”. “Machiavelli – afferma – è stato sempre presentato come realista o, addirittura, come scienziato della politica. Ma davvero in pochissimi hanno pensato che lui fosse invece vicino a quel tempo profetico, o si sentisse egli stesso profeta”.
Analizzando scritti, corrispondenze private e alcune letture, il docente ricostruisce il contesto, partendo dall’idea fortissima della “teologia poetica” e dal riferimento a Dante, “poeta e quindi profeta, in grado di rivelare agli uomini la volontà divina”.