A metà tra fotogiornalismo e ricerca antropologica, le foto esposte a Palazzo Rau della Ferla a Noto raccontano le personalità dei barbieri e dei loro avventori, le atmosfere gravide di umanità dei saloni da barba ma anche il pathos e la fatica del lavoro quotidiano. Fino al 30 settembre
Quaranta scatti di Armando Rotoletti sul mondo affascinante e ormai scomparso delle antiche barberie siciliane. Le immagini della mostra fotografica “Barbieri di Sicilia”, esposte a Palazzo Rau della Ferla a Noto, fanno parte di una ricerca compiuta dal fotografo vent’anni fa, scovando le ultime barberie non ancora travolte dalla modernizzazione, nella profonda provincia dell’isola. Il risultato è un reportage che mescola con eleganza fotogiornalismo e ricerca antropologica.
«Nella primavera del 1991 - racconta Rotoletti - mi trovavo in Sicilia per una storia di copertina da me proposta. Nella piazza di Corleone entrai in una barberia per chiedere un’informazione. Non ricordo se ebbi soddisfazione in ciò che volevo sapere, ma ricordo che ebbi come una rivelazione. Avevo davanti il luogo più autentico della socialità siciliana, dove ogni sussulto della vita del paese veniva passato al pettine fine, con sorniona noncuranza, vedendo senza vedere, dicendo senza dire». Da questa esperienza inattesa nasce l’idea di «fermare il tempo con la pellicola, cogliendo, prima che fosse troppo tardi, quell’impalpabile impronta culturale, quel distillato di "sicilianità" che io stesso, da siciliano, ben conoscevo e tenevo a documentare».
Gli scatti fotografici, realizzati tra il 1992 e il 1993, hanno seguito un itinerario dettato dall’istinto, fra barberie di città e di piccoli paesi, procedendo dall’entroterra alla costa per tutta la Sicilia. Un détournement che ha fatto emergere i tratti comuni di queste barberie, creando la narrazione di un mondo popolare e interclassista, che rappresentava il fulcro della comunità di ogni paese, più ancora della chiesa, del corso o del circolo.
Impiegando metodi prossimi a quelli dell’antropologia culturale, integrando gli scatti con conversazioni per comprendere più a fondo caratteri, storie e abitudini, il reportage di Rotoletti va oltre la banalità del pittoresco per cogliere le singole personalità dei barbieri e dei loro avventori, le atmosfere gravide di umanità dei saloni da barba ma anche il pathos e la fatica del lavoro quotidiano. Sono scatti pieni di curiosità ed empatia che ritraggono persone autentiche, sorprese nei momenti più impegnativi e anche più divertenti della loro giornata, in un flusso ininterrotto di voci e silenzi carichi di significati, profumi, musiche e suoni della strada.
Una collezione di foto che ha saputo affascinare anche, Igor Man, al secolo Igor Manlio Manzella, decano del giornalismo italiano e autore del catalogo della mostra. Man con una serie di rievocazioni, descrive una di queste foto andando con la mente a un ricordo di lui tredicenne, una domenica del febbraio ’39 nel quartiere Cibali di Catania dove abitava. Il barbiere Don Puddu stava per chiudere per sempre il suo "Salone Venus” ma ci teneva a fare lui la prima rasatura al giovane Igor. «Il Salone Venus odorava di sapone, di borotalco, di lozione dopobarba contenuta in uno spruzzatore di latta nichelata, con la pompetta avvolta in una sottile reticella di seta. Tutti gli strumenti di Don Puddu erano allineati accanto al lavandino, su di un tavolinetto: come li vedo nelle fotografie di Rotoletti. Prima di attaccare i capelli, Don Puddu sillabò “senta, non le pare sia giunto il momento di farsi la barba? Confuso avrei voluto dirgli che la mia barba era poco più di una peluria ma lui, deciso, aveva cominciato a insaponarmi come soltanto i barbieri del Sud sanno fare. Infine estrasse dal taschino della giacca il rasoio, prese ad arrotarlo sul palmo della mano. “Il mio rasoio marca Puma”, sorrise fiero».
La mostra è visitabile a Palazzo Rau della Ferla (via Silvio Spaventa, Noto) fino al 30 settembre, dalle 17 alle 23, escluso il lunedì.
Armando Rotoletti (Messina, 1958) ha studiato fotografia al St. Mary College e al London Polytechnic (ora University of Westimnster) a Londra, città dove ha iniziato la sua attività professionale. Trasferitosi a Milano negli Anni 80 si è quindi dedicato al fotogiornalismo. Tra il 1985 e il 1995 ha prodotto diversi reportage presentati in mostre personali e collettive. Nel 1990, su invito di Grazia Neri, è entrato a far parte della sua storica agenzia, dando avvio all’attività di fotografo-ritrattista di personaggi della cultura, dello spettacolo e dell’economia. I suoi reportage sono stati pubblicati da molte importanti riviste tra cui i settimanali “Sette” e “Io donna” del Corriere della Sera,Vanity Fair, The Sunday Times.
Contestualmente ai suoi impegni editoriali, da una decina d’anni si dedica anche a lavori di ampio respiro e di approfondimento sociale; tra questi Le facce della saggezza (ritratti di filosofi italiani); Casa della Carità. I volti le storie, dedicato agli ospiti della Casa della Carità di Don Colmegna. Attualmente, in parallelo alla ritrattistica, documenta paesaggi e volti dei distretti agroalimentari (Langhe, Food Valley) pubblicando i relativi volumi: Gente di Barbaresco è il primo risultato di questo nuovo impegno. Con Circoli di conversazione a Biancavilla, Rotoletti esplora la realtà antropologica del paese siciliano alle pendici dell’Etna, dal destino incerto e in lotta perenne con la modernità. Un altro suo recente volume, Valelapena, racconta storie di riscatto dal carcere di Alba, dove ai detenuti è consentito il lavoro nel vigneto dello stesso carcere. Scicli, città felice, è il racconto fotografico di una delle più affascinanti città barocche del Sud Est della Sicilia, il suo ultimo libro, Vino e gente dell’Etna documenta lo straordinario territorio dell’Etna e il suo rinascimento enoico.