Antonino Garufi, Nunzio Di Francesco, Carmelo Salanitro: storie di deportati siciliani. Non ebrei, bensì "politici". Li ricordiamo in questo omaggio curato dallo storico Rosario Mangiameli e realizzato da Zammù TV in collaborazione con la Società di Storia Patria per la Sicilia orientale, l'Issico e l'Aned Sicilia
Seguendo una consolidata tradizione, l’Università di Catania dà il suo contributo alla celebrazione del Giorno della Memoria anche in questo 2021 segnato dalla lotta a una tremenda pandemia.
Il nostro omaggio parte dal Canto dei deportati, nato nel lager di Dachau nel 1933. L’apertura di quel lager coincise con l’avvento del nazismo in Germania e inaugurò la lunga e tragica storia di un sistema concentrazionario che ospitò nel tempo oppositori politici, perseguitati razziali (ebrei e zingari), omosessuali, pacifisti, disabili, reduci repubblicani della guerra civile spagnola, polacchi e soldati sovietici, questi ultimi trattati non come i normali prigionieri, ma con maggiore ferocia.
La sospensione delle Convenzioni di Ginevra relative ai prigionieri fu applicata anche ai soldati italiani che dopo l’8 settembre non vollero affiancare i tedeschi o aderire alla Repubblica Sociale Italiana: vennero indicati pertanto come Internati militari italiani (IMI) e sottoposti a un regime di detenzione molto vicino ai deportati destinati allo sterminio. Il sistema concentrazionario, dunque, si allargò nel tempo a molte categorie di persone e raggiunse dimensioni europee negli anni della guerra e in particolare dal 1942 con la nascita di Auschwitz nella località polacca di Oswiecim.
Le centinaia di campi ospitarono circa tredici milioni di deportati, di cui sei milioni furono gli ebrei, la categoria più colpita, e sette milioni gli altri, con una forte rappresentanza di politici. La politica di sterminio divenne genocidio nel caso di ebrei e zingari. Questo dato quantitativo e qualitativo ha messo spesso in ombra la presenza di altri deportati con la conseguenza di rendere meno leggibili le cause stesse di una simile imponente aggressione alla società europea.
Un gesto dettato da follia? Il male assoluto che si insinua in un mondo civilizzato e colto? La considerazione della complessa e variegata fisionomia delle vittime invece ci può aiutare a ricostruire un quadro più veritiero, a cercare le cause di questo evento che ha rappresentato la principale cesura nel XX secolo.
L’Università di Catania ha da molto tempo posto l’attenzione a questa complessità, fin dai primi anni Novanta, quando furono pubblicati libri come quello di Antonino Garufi, "Diario di un deportato", a cura di Felice Rappazzo e Nino Recupero (Gelka, Palermo, 1990); o quello di Nunzio Di Francesco, "Il costo della libertà", che ebbe poi altre più accurate edizioni (l’ultima: Bonanno, Acireale, 2007). Nel 1996, rettore Rizzarelli, il loggiato del Palazzo Centrale dell'Università di Catania e l’aula magna ospitarono la mostra "La libération des camps et le retour des déportés" approntata dall'Università di Versailles Saint Quentin-en-Yvelines; contestualmente fu avviata un'indagine sui deportati siciliani.
Appariva una novità poiché quando l’Italia era stata inclusa nel sistema concentrazionario tedesco, dopo l’8 settembre e la nascita della Repubblica Sociale Italiana, la Sicilia e buona parte del nostro Sud erano sotto il controllo degli eserciti Alleati. Per questo motivo i deportati siciliani erano nella totalità deportati politici, militari in servizio in Nord Italia e in quelle che erano state le zone d’occupazione italiana (Grecia, Jugoslavia, Francia), passati alla Resistenza e catturati come partigiani. La deportazione era l’applicazione di una pena di morte lenta e penosa, spaventosa, e per giunta redditizia per il Reich, dal momento che quei giovani sarebbero diventati forza lavoro al basso costo di una brodaglia di rape giornaliera, fino all’esaurimento delle forze. La ricerca portò a un primo censimento e alla ricostruzione delle storie di 761 deportati siciliani (Giovanna D’Amico, I siciliani deportati nei campi di concentramento e di sterminio nazisti, Sellerio, Palermo, 2006).
Oggi, attraverso le letture di Domenico Gennaro e di Ezio Donato proponiamo alcuni brani delle memorie di Garufi e Di Francesco, quest’ultimo spesso presente nelle giornate universitarie del 27 gennaio. Il commento musicale, curato da Riccardo Insolia, comprende i brani “Vier Stücke” (Alan Berg), "Abîme des oiseaux" (Olivier Messiaen), "Lam" (Giovanni Sollima) e "Klezmer Dance" (Göran Fröst / Giora Feidman).
Proponiamo inoltre un breve ricordo di Carmelo Salanitro, la cui storia di deportazione è singolare. Era un docente di latino e greco al Liceo Cutelli di Catania, un cattolico pacifista che sentì il dovere di opporsi alla guerra nel 1940 diffondendo bigliettini dai toni profetici: “Il fascismo ha scatenato senza motivo una guerra criminosa, ove i nostri figli e fratelli trovano la morte. Siciliani, non combattiamo. Viva la Pace e la Libertà”. Scoperto, Salanitro fu condannato a 18 anni di reclusione dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato. Rimase in prigione anche dopo la caduta del fascismo e fu consegnato ai tedeschi dopo l’8 settembre. Cominciò così una peregrinazione nei campi di sterminio fino al 24 aprile 1945, quando fu avviato alla camera a gas del lager di Mauthausen.