Il regista e attore torinese, direttore del Teatro Nazionale di Genova, ha incontrato gli studenti dell'Università di Catania in un confronto appassionato sul teatro, l'arte, la lirica e la società
Hitchcock, Vettriano, Ejzenstein, Fellini. Michelangelo Buonarroti, Black Mirror, i Beatles, l’opera lirica come il potente assolo di batteria di Michael Shrive a Woodstock: sex, drug and rock and roll. L’opera che, come il rock, strappa le cuciture di busti e crinoline, strucca visi troppo bianchi, arrossa le guance e lascia esplodere la vita, con gli scherzi spensierati dei giovani de “La Boheme”, e la morte, con Mimì che esala l'ultimo respiro abbandonata sulle scale, come un'icona del triste "club dei 27", svelando di colpo la cruda realtà dell'esistenza.
L’incontro con Davide Livermore non è un'asettica lezione accademica sul teatro e sull'opera lirica, piena di inaccessibili tecnicismi, ma è un travolgente racconto post moderno sulle note di Puccini, in cui la storia, il passato, il presente, Eschilo e Verdi, i vespri siciliani e la strage di Capaci, la lirica, il cinema e il fumetto, Sarah Bernhardt e Penny Lane, il senso dell’arte e della vita si aggrovigliano, formando una cosa sola.
Il regista torinese, direttore del Teatro Nazionale di Genova, in Sicilia per dirigere "Coefore/Eumenidi" dall'"Orestea" di Eschilo, in scena al Teatro Greco di Siracusa dal 3 al 31 luglio, è intervenuto all’auditorium "Giancarlo De Carlo" del Monastero dei Benedettini per un incontro con gli studenti dell’Università di Catania dal titolo "La bellezza non è scontata". Il teatro di regia tra dramma antico e opera lirica, ripreso integralmente dalle telecamere di Zammù Tv.
Davanti a un pubblico entusiasta (finalmente in presenza), prendendo spunto dalle clip di alcuni dei suoi spettacoli più famosi ("A riveder le stelle", "Elena" di Euripide, "Don Pasquale", "I vespri siciliani"), Davide Livermore ha risposto alle domande della moderatrice Laura Rondinella e degli studenti intervenuti con preziose riflessioni su vari aspetti dell'arte e dell'esistenza in generale: il teatro, l'opera, la cultura, la verità, il rapporto simbiotico fra passato, presente e futuro.
«Non dobbiamo pensare che la cultura sia una cosa puramente intellettuale e che il teatro sia qualcosa che sta dietro un vetro», spiega il regista. Il teatro, per Livermore, non è un gioiello prezioso da conservare in cassaforte e da mostrare solo a esperti del settore. Il teatro, l’arte, la cultura sono i «graffiti sulle carrozze della linea ferroviaria Torino – Mondovì», dove qualcuno con le scarpe slacciate e i jeans sporchi si è svegliato presto e ha deciso di dipingere su un treno tutto quello che non va.
Ecco il senso della bellezza “non scontata”: un'arte che non fa sconti, appunto, fedele alla realtà. Bellezza, per Livermore, è poter dire le cose come stanno, rappresentare senza filtri l'universalità delle emozioni umane: «oggi certi standard un po' "cartonati" dell'opera di quando ero giovane non possono più esistere. Oggi a teatro è più importante mettere in scena la verità, con due persone che si baciano per davvero, con i giovani che si comportano da giovani, da "cazzoni". Se vogliamo rappresentare il dramma della fine della gioventù, come ne "La Boheme", bisogna prima farla sentire, quella gioventù».
Bellezza è anche impegno nei confronti della vita: «Verdi non è qualcosa che sta nei libri, non vive nel passato. Lui ha scelto di scrivere “Va, pensiero” (una metafora della condizione dell'Italia in piena dominazione austriaca), questo vuol dire assumersi la responsabilità, militare a favore della vita».
Proprio come Verdi, che «con "I vespri siciliani" ha messo una pietra tombale sul suo desiderio di unità repubblicana, dopo aver toccato con mano la sporcizia della politica italiana», Livermore ha scelto la scomoda militanza: nel suo allestimento della grand opéra del celebre compositore italiano, andato in scena al Teatro Regio di Torino nel 2010, il regista ha voluto offrire una riflessione sull'Italia contemporanea, trasformando il nemico francese nello stato italiano corrotto, con le possibili implicazioni nelle stragi di mafia che hanno insanguinato la Sicilia tra gli anni '80 e '90.
«Ho voluto rappresentare "I vespri siciliani" trasferendoli nella nostra realtà», spiega Livermore. «Gli scenografi che hanno ricreato il drammatico scenario della strage di Capaci, che appare in una delle scene più intense dello spettacolo, mi hanno ringraziato: per loro, quella non è stata solo una scenografia, ma un monumento ai caduti».
A cosa serve il teatro, del resto, se non rappresenta la nostra società, se non trascende il tempo e lo spazio per mettere in scena l'uomo, se non morde e scuote le coscienze? Oggi Eschilo deve parlare a un pubblico diverso, distratto dagli smartphone e con duemila anni in più: «la drammaturgia è un po' come la serie "Black Mirror", prende un aspetto deleterio della nostra società, su cui vale la pena riflettere, e lo amplifica».
La creatività deve essere messa a disposizione del nostro tempo, senza però dimenticare il passato: «devo conoscere il passato per sapere chi sono e per capire dove andare. Un ateneo straordinario come questo vi dà la coscienza del passato per comprendere il nostro presente, per determinare e cambiare le sorti del nostro futuro e immaginare un mondo pieno di bellezza, cultura, gioia».