Doppia recensione anche per l'ultimo film in rassegna: "The Rider". Il testo è di Azzurra Mattia (studentessa di Comunicazione della Cultura e dello Spettacolo) e video di Michele Leonardi (aiuto regista), entrambi membri del gruppo di studenti, laureati, docenti e appassionati di cinema che animano "Learn by Movies Unict"
M’ero creduto finora un uomo nella vita. Un uomo, così, e basta. Nella vita. Come se in tutto mi fossi fatto da me. Ma come quel corpo non me l’ero fatto io, come non me l’ero dato io quel nome, e nella vita ero stato messo da altri senza mia volontà; così, senza mia volontà, tant’altre cose m’erano venute sopra dentro intorno .
(Luigi Pirandello, Uno, nessuno e centomila)
The Rider, secondo lungometraggio della regista cinese Chloé Zhao, racconta la vera storia di Brady Jandrau, un giovane cowboy originario della comunità dei Lakota Sioux, in South Dakota. Star del rodeo e talentuoso addestratore di cavalli selvaggi, Brady, che nel film è interpretato dal vero Brady Jandrau, è costretto a fermarsi dopo un grave incidente che gli ha provocato lesioni tali da impedirgli di ricominciare a cavalcare senza rischiare la vita.
Il film di Zhao, sospeso tra la contemporaneità degli smartphone e la dimensione epica e senza tempo del western classico , è una sincera riflessione sul mito dell’identità e sul dolore della perdita del sé. Il protagonista, dopo l’incidente, vive il trauma della perdita del suo status identitario all’interno della comunità, un microcosmo in cui il mito del cowboy e dell’uomo forte è più radicato che altrove. Brady non può avere paura, Brady non può essere debole, non può essere una femminuccia , perché «per noi cowboy è diverso, noi cavalchiamo il dolore» .
Il giovane cowboy ferito, col suo cappello sempre in testa, lotta per la riaffermazione del proprio ruolo e per riprendere il controllo sul proprio corpo martoriato, cercando di tenere in vita il vecchio sé. Ma sotto le trame delle imposizioni sociali traspare la realtà, fatta anche di fragilità e di limiti invalicabili. Le categorie di forza e debolezza, di paura e coraggio, perdono di significato di fronte all’inesorabilità della condizione finitamente umana del protagonista e del suo amico Lane, anche lui vittima di un incidente nel corso di un rodeo. Lane, un tempo campione e cowboy senza paura, non può più muoversi né parlare e sopravvive soltanto nel ricordo di ciò che era, in quei filmati amatoriali che riguarda senza mai stancarsi.
La storia di The Rider è una storia in cui gli eroi non esistono : il vero atto eroico è continuare a vivere la propria vita anche quando questa non è come la vorremmo. L'identità è un concetto labile, le figure precostituite sono fantasmi evanescenti e la realtà è più complessa di come appare in un film western. Queste dolorose riflessioni sembrano però svanire di fronte all’amore di Brady per i suoi cavalli e si diluiscono nella libertà di quelle cavalcate che potrebbero essere le ultime, in quelle bellissime sequenze in campo lungo e in quei giochi di luce tipici del western che qui perdono parte della loro carica epica in favore di una dimensione più intima.
Chi siamo? Siamo davvero ciò che vogliamo o siamo il risultato di una serie di circostanze variabili e casuali? Una cosa resta vera: nella vita essere un cowboy significa avere il coraggio di tornare in sella e cavalcare il proprio destino, qualunque esso sia.