La recensione di Gabriele Santoro, studente di Filologia classica e membro del gruppo di appassionati di cinema, studenti, laureati e docenti che animano "Learn by Movies", sul sesto film della rassegna di quest'anno: "L’heure de la sortie"
Solo il cinema può mostrare il sole senza accecare. Non esiste obiettivo cinematografico cui un oggetto reale possa sfuggire. E proprio con un sole in primo piano inizia L'heure de la sortie, film del 2018 di Sébastien Marnier.
Il film narra le vicende di un insegnante di lettere assunto da una scuola per supplire un suo collega che ha tentato il suicidio, in pieno giorno, davanti ai suoi stessi alunni. Pian piano il nostro professore tenterà di insinuarsi nella vita di alcuni dei suoi ragazzi, supponenti, arroganti ma terribilmente intelligenti.
L'attore protagonista (un plauso al capacissimo Laurent Lafitte) e il suo viso monoespressivo calzano perfettamente in una realtà asfittica come quella del film, in cui, un po' come un detective, deve indagare sulle stranezze comportamentali di alcuni ragazzi che celano piani inimmaginabili.
Il film si muove su due livelli. Il primo riguarda il tema della consapevole inadeguatezza del professore precario, costretto a rimbalzare da una realtà scolastica all'altra dovendo in un tempo brevissimo calarsi in realtà aliene. Ne consegue il problema dell’educazione scolastica, che sembra possa essere impartita solo nel caso in cui un professore riesca ad imporre la sua personalità e un’insolubile gerarchia; laddove insomma sia mantenuto e rigorosamente osservato un rapporto hegelianamente dialettico, in cui non sia previsto un superamento del conflitto.
Il secondo livello appare poi maledettamente contemporaneo, perché il film narra dell'emergenza ambientale che coinvolge il nostro pianeta. Tema ormai trito e ritrito, ma mai nessuno lo aveva affrontato come ha fatto Marnier in questo film. Ci hanno propinato l'idea che la responsabilità di tale crisi possa ricadere quasi esclusivamente su di noi e sulle cicche di sigaretta che non raccogliamo da terra. Non siamo esenti da colpe, è chiaro. Ma ciò che il film sembra svelarci è che le nostre valutazioni andrebbero riviste nell’ottica di un ridimensionamento generale che ci renderebbe più sanamente consci dei nostri pur gravi errori (cosa che succede agli stessi ragazzi, poiché l’apocalisse, nel finale, si realizza).
Un film, poi, girato in modo calibratissimo e musicato magistralmente dal duo electropop Zombie Zombie. Un grande autore, insomma Sébastien Marnier (anche sceneggiatore), capace di realizzare un film caleidoscopico, con un’ouverture d’autore per poi immettersi nell’impervio genere noir con sfumature finali persino orrorifiche. Unico modo per deglutire certi bocconi altrimenti amarissimi.
Unico modo per mostrare il sole allo spettatore più sprovveduto.