La figlia dello statista ucciso dalle Brigate Rosse racconta il difficile percorso di confronto che, grazie a padre Guido Bertagna, ha intrapreso con l'ex brigatista Adriana Faranda e con gli altri responsabili della lotta armata degli anni Settanta
Ad oltre 30 anni dal rapimento del politico e giurista Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse, la figlia del due volte presidente del Consiglio dei ministri, segretario politico e presidente del consiglio nazionale della Democrazia cristiana Agnese Moro, e l'ex brigatista Adriana Faranda si sono confrontate su quegli anni che hanno segnato per sempre le loro vite.
Ospiti della Scuola Superiore di Catania, hanno spiegato il senso del loro "percorso del perdono" iniziato grazie all'iniziativa di padre Guido Bertagna, tra i curatori de "Il libro dell'incontro" (2015), che fa riferimento proprio all'incontro fra vittime e responsabili della lotta armata degli anni Settanta.
Ma quale fu il ruolo di Adriana Faranda nel sequestro Moro? Il 16 marzo 1978 Aldo Moro fu sequestrato da un commando delle Brigate Rosse e, dopo una prigionia di 55 giorni nel covo di via Montalcini, fu ucciso. Adriana Faranda svolse un ruolo importante durante il sequestro Moro, ma si oppose all'omicidio dello statista. Nel maggio del 1979 venne arrestata e grazie alla "dissociazione" beneficiò degli sgravi di pena. Uscì in libertà condizionale nel 1994. «Siamo qui per raccontare il nostro percorso di incontro - spiega in video Faranda -. Un percorso estremamente lungo, difficile e sofferto, ma anche ricchissimo di umanità, di stimoli, di riflessione».
Durante l'incontro organizzato dalla Scuola Superiore di Catania e dai Rotary Club Area Etna nell'anfiteatro di Villa San Saverio sono intervenuti anche mons. Gaetano Zito e padre Guido Bertagna, che ha spiegato com'è nata l'idea del libro e degli incontri. Il libro nasce a partire dalla constatazione che né i processi né i dibattiti mediatici del conflitto sono riusciti a sanare la ferita, così un gruppo numeroso di vittime, familiari di vittime e responsabili della lotta armata ha iniziato a incontrarsi, a scadenze regolari e con assiduità sempre maggiore, per cercare con l'aiuto di tre mediatori - il criminologo Adolfo Ceretti, la giurista Claudia Mazzucato e lo stesso Bertagna - una via "altra" alla ricomposizione di quella frattura che non smette di dolere; una via che fa propria la lezione della giustizia "riparativa", nella certezza che il fare giustizia non possa, e non debba, risolversi solamente nell'applicazione di una pena.
«Quello che desideri di più quando ti è capitato qualcosa del genere - spiega Agnese Moro - è avere giustizia, anche se è una cosa estremamente complicata. Nel mio caso, la giustizia penale ha fatto tutto quello che poteva fare, quindi, in teoria, io dovrei stare bene perché "ho avuto giustizia". Purtroppo però le tue ferite rimangono aperte». C'è amarezza nelle sue parole: «Alla fine ti ritrovi ad avere a che fare con i cocci della tua vita perché il passato non passa mai: sei in parte prigioniero di quei giorni del 1978. È come essere legati a un elastico, tu vai avanti ma non sai mai in quale momento quell'elastico ti riporterà indietro, se si allungherà sempre, se si spezzerà... il passato prende i tre quarti del tuo spazio interiore, lasciando pochissimo al presente e tantomeno al futuro».
Poi Agnese Moro ha spiegato la sua visione della "tirannia del male": «Il male che è stato fatto era destinato a compiere una sola cosa, ma in realtà i suoi effetti si moltiplicano. È per mettere un punto a tutti questi effetti che arriva il perdono. Devi prendere una decisione per fermare tutto questo male - perché il perdono non è un sentimento, ma una decisione - e dire basta. Perdonare è una scelta "furba" - ironizza - per stare bene, per riprenderti la tua vita e vedere quello che c'è intorno a te e le opportunità che ti vengono offerte».