Con la chiusura degli Opg si apre un nuovo capitolo per l'esecuzione delle pena e la cura di persone con disturbi mentali. Per circa un secolo i soggetti giudicati pericolosi sono stati rinchiusi in «luoghi di non vita» secondo lo psichiatra Peppe Dell'Acqua. Il quale, in un'intervista a Radio Zammù, spiega come «non dobbiamo prenderci cura della malattia, ma della persona nella sua interezza»
Lo scorso maggio, dopo più due anni di proroghe e rinvii, la legge che dispone il superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari è stata approvata. Entro il 31 marzo del 2015 tutti gli internati degli Opg dovranno essere accolti in altre strutture in cui possano seguire un progetto terapeutico riabilitativo. «Mi sono impegnato moltissimo, insieme ad altri, per cercare di portare a termine l'iter per la legge», racconta il direttore del dipartimento di Salute mentale di Trieste Peppe Dell'Acqua.
Lo psichiatra, che ha lavorato con Franco Basaglia partecipando all'esperienza della chiusura dell’Ospedale psichiatrico di Trieste, reputa importante l'approvazione della legge non solo perché chiude i «manicomi giudiziari» ma anche perché prevede un limite massimo alla misura di sicurezza. «Prima di questa legge la pena poteva durare all'infinito, determinando i cosiddetti ergastoli bianchi. Oggi, invece, la misura di sicurezza non può durare più del tempo previsto come massimo della pena per un determinato reato», spiega Dell'Acqua.
Fino a oggi, a venire internati negli Opg erano persone che avevano commesso dei reati che i giudici supponevano incomprensibili e per ciò chiedevano una perizia psichiatrica. Nel caso in cui il perito giudicava l'imputato incapace di intendere e di volere e potenzialmente pericoloso si aprivano le porte dell'ospedale psichiatrico giudiziario. «Gli Opg rispondono all'idea di bonificare le persone che è del tutto sbagliata – sottolinea lo psichiatra – se un cittadino con disturbi commette un reato efferato deve essere valutato per quello che ha fatto e la punizione deve avvenire come avviene per qualsiasi altro cittadino». Dell'Acqua si è più volte detto contrario al principio di non imputabilità per chi soffre di una malattia mentale, secondo il professore è importante che chi si rende responsabile di un grave reato sia in prima battuta punito con il carcere. «È banale dire che se sono cardiopatico e commetto un reato non vado in un ospedale cardiologico giudiziario, ma mi curano in carcere o con altre misure che sono già previste e prevedibili».
Con la chiusura degli Opg si pone il problema di creare nuovi meccanismi di difesa sociale e cura del malato. Chi fino ad oggi è stato internato in futuro verrà accolto nelle Rems, residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza sanitaria, in pratica dei piccoli opg regionali con massimo 20 posti. «Abbiamo cancellato la parola istituti e usato residenze, una questione di pudore. Tutte le residenze sono dei luoghi infernali con costi enorme per la comunità locale. Ogni persona che sta in una residenza costa fino settemila euro al mese».
L'alternativa alle Rems sono i servizi dei centri di salute mentale che la legge ha immaginato come il perno di tutto il lavoro di cura, prevenzione e riabilitazione delle persone con disturbi mentali. Nei territori in cui questi centri funzionano le presenze negli Opg sono calate sensibilmente fino a ridursi del tutto. «Dobbiamo smettere di pensare alla malattia concentrandoci sulla vita del malato. Con i soldi spesi per rinchiuderlo in una casa terrificante si possono sostenere un lavoro, un accompagnatore o delle cure eccentriche come il nuoto o il trekking. Le Rems sono luoghi di non cura per definizione, la cura passa per il lavoro in una comunità, dall'inserimento nei luoghi di vita», conclude Dell'Acqua.