La storica famiglia di pupari ha messo in scena un altro capolavoro di Shakespeare, applaudito con calore dal pubblico. «Se non ci fosse la nostra minuscola bottega - si sfoga Fiorenzo - non potreste apprezzare questo patrimonio Unesco, che non trova ancora una sede stabile nella nostra città»
«La parola dà l'input al maniante, il maniante la traduce sapientemente in gesto, il gesto produce l'emozione». Ecco il meccanismo perfetto che dà vita allo "spettacolo" dell'Opera dei pupi. E se a "maniare" i pupi sono gli artisti della famiglia Napoli, l'emozione è assicurata, anche quando all'opera non ci sono Orlando, Rinaldo o Gano, ma Duncan, Macduff e Macbeth.
Nel quattrocentesimo anniversario della morte di William Shakespeare La Marionettistica dei fratelli Napoli si è cimentata infatti ancora una volta con il grande teatro inglese, mettendo in scena alla Scuola Superiore di Catania per il cartellone Porte Aperte "La tragedia di Macbeth", riduzione e adattamento "per pupi e pupari catanesi, per voci recitanti e improvvise apparizioni" di Alessandro e Fiorenzo Napoli.
Un nuovo successo che arriva dopo quello del "Riccardo III" allestito al Monastero dei Benedettini lo scorso 30 maggio 2016 (guarda il nostro video). «Da quattro generazioni la famiglia Napoli cammina in questo carro di Tespi - spiega Fiorenzo in video -, lungo questo percorso in cui il pupo e l'uomo si confondono e spesso si scambiano. Noi e i pupi ci riconosciamo, ci salutiamo, ci abbracciamo: ci vogliamo bene».
Composta dal Bardo intorno al 1606, la tragedia di Macbeth rappresenta uno dei vertici più alti della creazione shakespeariana, sia per la qualità poetica sia per l'intensità drammatica. «Irretito da fatali profezie che gli rivelano la propria segreta ambizione - scrive Alessandro Napoli -, Macbeth, fedele guerriero del buon Re Duncan, accelera il compimento della sua sorte, istigato dal luciferino coraggio della sposa. Tragedia del male e dell'ambizione, della paura e del rimorso, nella sua sinistra grandiosità, Macbeth è uno dei massimi capolavori universali incentrati sul tema della colpa e del rapporto dell'uomo con le potenze infernali».
«Rappresentare il testo shakespeariano secondo i codici teatrali dell'Opira catanese - prosegue - ci è sembrato possibile non solo perché crediamo nelle grandi potenzialità dei nostri attori di legno, ma anche perché Macbeth, col finale trionfo del diritto sul tradimento, sulla frode e sull'assassinio, ripropone quell'aspirazione a un ordine del mondo più giusto che è la cifra essenziale dell'Opera dei Pupi». Inoltre, molti caratteri dei personaggi shakespeariani si ritrovano nel gusto teatrale dell'Opira di tradizione: «Macduff, l'uccisore del tiranno, ci appare come un nobile paladino della giustizia che fa trionfare il bene sul male. Molte scene della tragedia rispondono a quel gusto per elaborate costruzioni scenotecniche che ha sempre caratterizzato l'Opira catanese, e soprattutto l'attività della nostra Marionettistica: pensiamo alle scene delle streghe, al banchetto e alle apparizioni soprannaturali».
«La riduzione e l'adattamento - precisa Alessandro - hanno dovuto costantemente tener conto della necessità di sposare l'intensità poetica della parola shakespeariana coi codici vocali e gestuali dei pupi catanesi. La rispettosissima riduzione del testo originale ha perciò dovuto in alcuni casi adattarsi a precauzioni e modifiche imposte da una tradizione che ha il suo complesso di regole rigorose, articolate e precise».
«Da piccoli impariamo ad amare il gesto - conclude in video Fiorenzo -, il sacrificio dei nostri maggiori, la polvere degli umili e non lustrati palcoscenici, le sedie dure dei nostri spettatori, il popolo con la coppola, con la sciarpa e col cappotto - perché dentro i teatri umili e semplici dell'opera dei pupi non c'erano riscaldamenti, ma c'era tanto calore umano... Tuttavia tutto questo lavoro - denuncia infine - non trova nella nostra città ancora una sede stabile. Se non ci fosse la nostra minuscola bottega, i nostri pupi storici, secolari, i cartelli, i manoscritti, questo patrimonio Unesco, voi signori non potreste vederli in nessun posto».